02 Sep 2022 Il fallimento di un impianto dentale. Quando si verifica?

Il fallimento di un impianto dentale. Quando si verifica?

Il fallimento di un impianto dentale. Quando e perché si verifica?

Forse vi sarà capitato che qualche conoscente vi abbia detto di aver avuto il rigetto di un impianto dentale. È importante ricordare che “rigetto” non è in realtà il termine corretto. L’impianto dentale non viene rifiutato dal nostro corpo, come può avvenire nel caso di un trapianto d’organo in cui il sistema immunitario rifiuta l’organo donato. Gli impianti dentali non sono organi, bensì radici artificiali in titanio che vengono inseriti all’interno dell’osso.

In ambito odontoiatrico il termine corretto è quindi ​​“fallimento” o “insuccesso” di un impianto dentale.

Cosa causa il fallimento di un impianto dentale?

Può essere legato a una serie di fattori diversi, che influiscono negativamente sulla durata e sull’efficacia degli impianti stessi, come le infezioni o condizioni cliniche del paziente sfavorevoli:

Questo può succedere in 2 diversi momenti:

  • mancata osteointegrazione precoce
  • mancata osteointegrazione tardiva

Mancata osteointegrazione precoce

Nei primi 3 mesi dopo l’intervento chirurgico, un impianto dentale dovrebbe già essere ancorato all’osso in cui è inserito.

Se questo non accade, la radice artificiale non è riuscita a integrarsi nel tessuto osseo, a causa di fattori come:

  • infezioni durante il periodo di guarigione: possono verificarsi se non vengono assunti gli antibiotici secondo le istruzioni dell’implantologo, o se il paziente ha una resistenza batterica ad essi;
  • stile di vita non sano: ad esempio, fumare molte sigarette ogni giorno riduce il flusso sanguigno verso i tessuti e impedisce così all’impianto di integrarsi;
  • scarsa qualità dell’osso: la condizione necessaria che permette all’impianto di legarsi all’osso è che sia stabile all’interno di esso. Se il paziente ha un tessuto osseo troppo “morbido”, questo legame potrebbe non avvenire mai;
  • masticare cibi duri: se nei primi mesi dopo l’intervento il paziente carica l’impianto in modo anomalo – per esempio masticando cibi troppo duri – può incorrere nel rischio di ostacolare l’integrazione.

Mancata osteointegrazione tardiva

Quando gli impianti cominciano a essere instabili dopo i primi 5 mesi, si parla di mancata integrazione tardiva. Capita infatti che alcuni pazienti perdano i propri impianti dopo 2-5 anni, altri dopo 10, altri ancora dopo addirittura 15 anni dall’intervento chirurgico.

A volte il colpevole è la perimplantite, ovvero un’infiammazione cronica che aggredisce i tessuti attorno all’impianto. Il paziente può accorgersene dal dolore durante la masticazione, dalle gengive che sanguinano di frequente e se sente che gli impianti si muovono. La perimplantite ha una componente genetica, ma può essere favorita da una scarsa igiene orale, che rende vulnerabili i tessuti parodontali agli attacchi dei batteri patogeni.

Oltre al rispetto dei tempi necessari all’osteointegrazione, sono molto importanti la professionalità del chirurgo, l’utilizzo di attrezzature adeguate, il rispetto della condizione sterile. Più si tiene conto di questi elementi, maggiori sono le probabilità di riuscita dell’intervento. Abbinandoci buone abitudini del paziente si pongono le basi per un successo a lunga durata.

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